Piazza N. Longobardi 3, 00145 Roma tel 06 51607592
"La qualità maggiore di un buon medico è un'estrema capacità di attenzione, perché la medicina è sopra ogni altra cosa un'arte dell'osservare" Luigi Turinese in Biotipologia

martedì 24 agosto 2010

Yoga e Buddhismo

Una rivista di Buddhismo ha buoni motivi per occuparsi di Yoga. Sono numerose le reciproche, feconde interferenze tra Yoga e Buddhismo verificatesi nel complesso corso della filosofia indiana ed estremo-orientale. Ci basta per il momento segnalare la sempre più frequente presenza, nei ritiri buddhisti occidentali, di persone che hanno praticato o praticano la disciplina yogica. E' tuttavia ancora facile trvare cultori delle singole "specialità" ignari delle profonde convergenze tra Yoga e Buddhismo. E' in particolar modo a questi "specialisti" che, a partire da questo quaderno, ci rivolgiamo, convinti da un parte dell'importanza di un solido equilibrio psico-fisico per procedere a quell'approfondimento interiore di cui il Buddhismo è campione; e, dall'altra, di quanto può essere riduttivo occuparsi di rilassamento e di salute prescindendo da un itinerario volto a sviluppare una comprensione profonda.

Non v'è dubbio che, fra le dottrine e le tecniche orientali importate in Occidente, lo Yoga sia la più popolare. E' tuttavia raro che gli stessi praticanti abbiano una conoscenza corretta di tale disciplina nella sua complessità. C'è chi considera lo Yoga un mezzo per ottenere salute e longevità; alcuni sono più sensibili ai suoi effetti stabilizzanti sulla psiche e lo equiparano a una tecnica di rilassamento o persino a una sorta di pscoterapia; pochi altri, infine, sono sono sensibili al carattere religioso che riveste la via dello Yoga. In verità, lo Yoga è tutto questo insieme ed anche di più, motivo per cui è degno di interesse per il medico, lo psicologo, il religioso, e ancora l'orientalista e l'etnologo.



Il termine yoga deriva dalla radice sanscrita yug- che significa "legare", "tenere assieme", "aggiungere", che anche nella nostra lingua, indoeuropea come il sanscrito, compare in termini designanti un legame: coniugare, giogo, coniuge. Per mantenerci sulle generali, definiremo lo Yoga come una tecnica di ascesi peculiare della spiritualità indiana sin dai suoi esordi. Mircea Eliade la collega a quell'insieme di tecniche estatiche diffuse nell'area centro-asiatica e siberiana note con il nome di Sciamanesimo.
A giudicare tale antichità, lo studioso rumeno invoca il ritrovamento a Mohenjo Daro (principale centro della civiltà della valle dell'Indo, III millennio a.C.) di un sigillo raffigurante una divinità assisa a gambe incrociate alla maniera yogica. Altri importanti autori, come Filliozat e Panikkar, invitano alla prudenza, facendo notare che la suddetta posizione era nota anche fuori dall'India, come dimostrano ritrovamenti archeologici in area mesopotamica e addirittura americana. Certamente, comunque, asceti solitari che praticavano tecniche psico-fisiche atte a produrre fenomeni estatici devono aver calcato il suolo indiano sin dai tempi più antichi. Le Upanishad del periodo medio ( circa VI secolo a. C.) contengono numerosi riferimenti allo Yoga, soprttutto alle tecniche respiratorie e al controllo dei sensi come base per la concentrazione.
In quello che è forse il libro induista più famoso in Occidente, la Bhagavad Gita (circa III secolo a.C.), lo yoga ha una parte predominante. Il dio Krishna, che ne è protagonista, viene chiamato "Signore dello Yoga". Nella Gita tuttavia, non ci troviamo di fronte a una tecnica definita. Il contesto più originale in cui il termine appare è il III capitolo, dove si descrive il karma yoga, o yoga dell'azione, che consiste nel compiere l'azione giusta senza curarsi dei suoi risultati, cioè con distacco ed equanimità.



Il Buddhismo adopera sin dai suoi inizi concetti e tecniche derivati dallo Yoga; per dare due esempi: i quattro jhana ricordano alcuni momenti specifici dello Yoga (v. più avanti l'importanza del dhyana yogico) e ancora le Quattro Nobili Verità devono esere mediate e sperimentate, si potrebbe dire comprovate, alla maniera yogica. Per il Buddhismo, insomma, la gnosi non è sufficiente occorre la pratica.
E' interessante riflettere sul fatto che Ananda, il discepolo prediletto dal Buddha, fu escluso dal primo concilio buddhista, svoltosi a Rajagriha subito dopo la morte del Sublime, a motivo della sua comprensione puramente intellettuale della dottrina.
Egli, cioè, non aveva sperimentato le Quattro Nobili Verità e non era dunque un arahant. Tutto questo è tipico della mentalità yoga.
Il discepolo deve operare nel suo stesso corpo-mente la trasmutazione che gli consente di accedere ad un altro piano (samadhi).


La Scuola Yogachara
Il Buddhismo utilizza le tecniche yoga, sorreggendole e completandole con un profondissimo lavoro di "comprensione" della verità: l'esperienza, indispensabile per ottenere la liberazione (nirvana) Deve essere illuminata dalla saggezza intuitiva, dala comprensione (prajna).

Penso che sia utile, per esemplificare quanto detto, comparare l'uso che del respiro fanno lo Yoga e il Buddhismo.
Per lo Yoga, il respiro deve essere controllato e modificato secondo particolari tecniche (pranayama) che hanno la funzione di immettere l'adepto in un livello di coscienza non ordinario. Il Buddhismo, invece, raccomanda l'anapana sati (la consapevolezza del respiro, v. PARAMITA n2), che consiste in una osservazione neutra del respiro, priva di ogni sforzo di modificazione. Il risultato è, in definitiva, il ripristino della funzione attentiva in vista dello sviluppo della giusta consapevolezza (samma sati, v. PARAMITA 8 e 9). La tarda scuola buddhista del Vijnanavadin, fondata da Asanga nel IV secolo d.C., è anche detta Yogacara per evidenziare l'importanza attribuita ai metodi yoga sulla strada della conoscenza, e qui, come in genere nel Buddhismo tantrico, viene affiancata alla anapana sati la tecnica yogica del pranajana.



Finora si è parlato dello Yoga come di una dimensione comune alle grandi tradizioni religiose dell'India. Come sistema filosofico a sé stante, lo Yoga è più tardo. L'epoca in cui visse il suo iniziatore, Patanjali, è assai controversa. Più indietro del II secolo a.C., tuttavia, non ci si può spingere. Patanjali sintetizza e depura il materiale a lui pervenuto dai secoli precedenti, dandogli una copertura teoretica attinta dalla filosofia Samkya. Per quest'ultima, l'ignoranza somma è confondere lo spirito (parusha), per sua natura libero, con gli stati psico-mentali (buddhi). Come per il Buddhismo, anche per il Samkya ignoranza equivale a dolore, nascita e morte. La liberazione sopravviene non appena viene riconosciuta l'assoluta diversità tra il purusha e la buddhi, e l'apparteneza di quest'ultima non già al mondo spirituale, ma a quello della natura (prakriti). Secondo lo Yoga, a smascherare la falsa identificazione tra purusha e buddhi non basta la conoscenza metafisica, ma occorre una pratica contemplativa psico-fisiologica, che trasformi letteralmnente l'adepto, immettendolo in uno stato di coscienza unificato e inaccessibile al profano (samadhi).

A questa unificazione mirano le otto tappe dello Yoga classico (yoganga).
Le prime due (yama e niyama)contengono dispoizioni morali e costituiscono i preliminari indispensabili di qualunque ascesi.
Con la terza (asana) iniziano le pratiche più caratteristiche. Si tratta delle celeberrime "posizioni yoga", che hanno lo scopo di regolare i processi fisiologici consentendo l'applicazione dell'attenzione ai movimenti della coscienza. Lo yogin nello stato di asana, immobile, è la negazione fisica della mobilità, dell'agitazione, dell'aritmicità che caratterizzano l'uomo profano.
La quarta tappa (pranayama), armonizzando ispirazione, espirazione e ritenzione, produce una sensazione di assenza di sforzo e un progressivo rallentamento dei movimenti mentali.
Il pratyahara (quinta tappa) consente il ritirarsi della coscienza dal dominio degli oggetti esterni.
L'autonomia ormai acquisita dallo yogin nei confronti sia del mondo esteriore sia del dinamismo subcosciente gli permette di sperimentare una triplice tecnica interiore: dharana (attenzione focalizzata), dhyana (meditazione, flusso di pensiero unificato, stabile e tranquillo), e infine l'ottava tappa, samadhi (estasi, identificazione suprema: il meditante non è più separato dal suo oggetto di concentrazione).
Tutto l'ottuplice percorso mira ad abolire la molteplicità per ritrovare l'unità primigenia. Queste otto tappe dello Yoga classico sono comuni, con modeste varianti e aggiunte, a tutti i tipi principali di Yoga. Nessun sistema yoga, in realtà, esiste in modo del tutto autonomo, in quanto gli elementi di uno sono variamente combinati con quelli di un altro. Tra i sistemi più noti citiamo: mantra-yoga (reintegrazione per mezzo di formule che fungono da supporto per la concentrazione); bhakti-yoga (reintegrazione per mezzo della devozione); jnana-yoga (reintegrazione attraverso la conoscenza); karma-yoga (reintegrazione per mezzo dell'azione, v. sopra); raja-yoga (via regale alla reintegrazione, forma molto alta di yoga mentale).

C'è una caratteristica comune a tutti i sistemi testè descritti: non esiste varietà di Yoga ch non sia innanzitutto una pratica. Lo Yoga, d'altronde, si affermò in India come reazione al formalismo brahmanico, i cui rituali non si trasformavano mai in esperienza.

Una parola a parte merita lo hatha-yoga, se non altro perché è la varietà più nota e praticata in Occidente. Scopo dello hatha-yoga, nato in epoca tarda e protagonista di numerose, reciproche contaminazioni col Tantrismo, è risvegliare i centri di energia detti chakra, corrispondenti ciascuno a un piano di consapevolezza e di approfondimento mistico. Il risveglio successivo dei sei chakra minori posti a diversi livelli lungo la colonna vertebrale, prepara l'ascesa attraverso di essi del mitico serpente kundalini, simboleggiante la Shakti (energia femminile, attiva, controparte dell'energia maschile, passiva, personificata da Shiva). Al culmine della sua ascesa, la kundalini passa attraverso il settimo chakra, il supremo, che si trova nel cervello.
Qui si compie l'unione tra Shakti e Shiva, simboleggiante la liberazione, l'integrazione nell'adepto del principio maschile e di quello femminile.



La fisiologia mistica del Tantrismo induista e buddhista è pressocché identica a quella descritta dallo hatha-yoga: il cosmo è un tessuto di forze magiche, che con determinate tecniche possono essere risvegliate nel corpo umano, divinizzandolo. Nello Hevajra Tantra il Buddha proclama che senza un corpo perfettamente sano non si può conoscere la beatitudine. Uno dei testi tantrici più notevoli, I sei Yoga di Naropa, descrive la tecnica per lo sviluppo del calore interiore (tummo). Sul piano mistico si tratta di una trasmutazione energetica, realizzata mediante complesse tecniche respiratorie, il cui significato è analogo a quello dell'ascesa della kundalini: l'unione nell'adepto dei due principi complementari. Sul piano esteriore il tummo ha permesso di meditare, vestiti di cotone tra le nevi delle montagne himalayane.

L'espanione dello Yoga in Occidente segna l'affermarsi di una ricerca interiore attenta ai processi del corpo unitamente a quelli dell'anima, più rispettosa che in passato nei confronti della sostanziale unità psico-fisica-spirituale dell'uomo. Questo fenomeno ha risvegliato l'interesse per tradizioni occidentali dimenticate, come la preghiera esicasta, caratteristica del cristianesimo ortodosso, che si configura, secondo la felice definizione di P. Giovanni Vannucci, come uno "Yoga cristiano".

Luigi Turinese

Bibliografia essenziale:
A. Danielou: "Yoga, metdo di reintegrazione" - Ubaldini
M. Eliade: "Techiche dello Yoga" - Boringhieri
E. Wood: "Yoga" - Sansoni
Patanjali: "Gli aforismi dello Yoga" - Boringhieri
F. Poli: "Yoga ed esicasmo" - EMI
Anonimo: " Lo Yoga cristiano. La preghiera esicasta" - Libreria editrice fiorentina
Evans-Wentz: "Lo Yoga tibetano" - Ubaldini
S.B. Dasgupta: "Introduzione al Buddhismo tantrico" - Ubaldini

Articolo apparso su "Paramita, Quaderni di Buddhismo" Anno IV, n. 13, Gen - Marzo 1985, pagg. 36-38; e sulla rivista "Yoga", Organo della Federazione Italiana Yoga, n. 36/37, Ottobre 1988-Marzo 1989, pagg 20-22

In foto: "Sacred ribben II", "Sacred ribben III", "Sacred ribben IV", "Settimo Chakra"

Nessun commento:


Libri di Luigi Turinese

Luigi Turinese Cantautore

Luigi Turinese Cantautore
Clicca sull'immagine per scoprire la sua musica, i suoi concerti, i suoi CD